Dopo tanto fumo, sarebbe ora di passare al solo arrosto.
Acute ed intelligenti le osservazioni di davide Cervellin, come sempre, che sottoscrivo dalla prima all’ultima parola.
Da qualche anno io e Davide condividiamo queste idee che sono di pochi poiché il perbenismo e l’ipocrisia la fanno da padrone in questa società che vorrebbe tutti uguali ad ogni costo.
Ci sono cose sconvenienti che la gente non vuol sentire o non vuole leggere; ma di queste cose che non piacciono è bene dire per riflettere, perché il tempo degli occhi chiusi sulla realtà sta per finire e di miti non c’è più la possibilità di continuare a vivere.
Occhi spalancati su chissà quali mondi, lingua protesa in un gemito da bestia, e poi d’improvviso le mani sulle guance con le unghie spinte con forza nella carne, il sangue che cola.
Ci sono esistenze che travalicano l’immaginabile, segnano come un capriccio della natura, l’idea stessa di vita e a star loro accanto ci si annienta, incapaci di capire e di trovare un modo per essere utili, intendendo per utilità un po’ del loro benessere.
C’è un inneggiare alla vita a tutti i costi e vien facile quando non si è accanto alle sofferenze.
C’è un immaginare che le diversità deformi, abbruttite dal dolore, siano utili quando devono stare accanto agli altri, ai così detti normodotati e non ci si rende conto che questa fantasia da ben pensanti fa invece loro del male, distrae dal trovare per questi disgraziati il bene migliore, se per bene migliore intendiamo lo spazio possibile di benessere, di piccoli godimenti, di riduzione della sofferenza.
Tante persone che la natura ha castigato, vivono nelle loro famiglie rendendo pressoché impossibile che vi sia benessere per i primi e serenità per i secondi.
Le famiglie si disgregano; qualche suo componente sublima la propria esistenza trasformandosi in infermiere, taumaturgo, stregone sostituendosi alle carenze del proprio figlio o congiunto in una quotidianità irreale, trasformata.
Quante volte mi è capitato di parlare con una mamma delle abilità straordinarie di suo figlio paralitico, cieco, muto senza che mai questa avesse la ben che minima percezione della realtà cruda dell’essenza di suo figlio.
Pensiamo alla follia che ci ha portati a voler scolarizzare a tutti i costi bambini e ragazzi pluridisabili, chiedendo alla collettività di pagare per insegnanti di sostegno, operatori, servizi che non servono letteralmente a niente dato che alla fine di tanti anni di scuola, il nostro pluridisabile è da assistere e curare come se a scuola non fosse mai stato; e quel che è peggio, e purtroppo pochi se lo chiedono, probabilmente a scuola il nostro fanciullo o ragazzo, oltre che non imparare nulla, non sarà stato neppure bene e forse avrà sofferto di un confronto con gli altri sempre perdente e negativo.
Non sarebbe stato meglio investire da subito parte dei soldi per una scolarizzazione inutile, in servizi e attività per il suo benessere?
Poco mi piacciono certe odi alla vita mentre capisco e apprezzo di più il coraggio delle madri che abortiscono i figli deformi.
Mi piace l’essenziale semplicità di chi riconosce l’impotenza di fronte alla violenza della natura e chiede aiuto a chi di mestiere accudisce, da sollievo, cerca il benessere di questa esistenza sfortunata.
Al di là del mito mi piace la realtà, di chi per lavoro ma anche per passione con competenza dà sollievo ai giorni degli informi e dei contorti, perché autentica, perché non ammantata di ipocrisia, perché fatta di gente che sa guardare fisso negli occhi e dare significato ai gesti del cuore.
Basta con demagogiche dichiarazioni, con l’attribuzione universale di diritti e di ruoli che non potranno mai avere; riconosciamo con onestà le diversità, destinando a ciascuna le scelte più appropriate.
Non sono più uguale perché sto nella stessa famiglia, nella stessa scuola, nella stessa strada; sono uguale a tutti gli altri perché diverso, come diversi siamo tutti; e questa diversità si fa valore quando genera risposte, scambio, quando provoca reazioni che si tramutano in agire.
Detesto il mito dell’uguaglianza a tutti i costi che crea solo sofferenza e frustrazione ed è causa dell’irresponsabile non agire e non rispondere ai bisogni dei più deboli; odio chi si ammanta di benevolenza, si limita a qualche sorriso di circostanza, ha parole sdolcinate e non vede ne capisce che deve con coraggio, decidere, dare, pretendere.
La realtà è fatta per lo più di gente che non conosce la sofferenza, non immagina cos’è la non autosufficienza, è inconsapevole che potrà incontrare il dolore e precipitare nella condizione di non essere più in grado di determinare e controllare il proprio agire.
Assumiamo a paradigma del nostro benessere la condizione di vita di quelli che oggi non vorremmo nè nominare nè vedere e forse avremo una chance in più di costruire una società più umana e giusta senza che per questo sia necessario conformarla a quella dei sani e dei belli.
Davide Cervellin