Concorso letterario 2012

“A casa coi nonni. Storie di famiglie allargate..tra le generazioni

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LE CAMPANE

Io non avevo molta voglia di nascere, stavo molto bene al calduccio nella pancia della mia mamma, ma poi in un giorno di aprile, sentendo il suono delle CAMPANE di mezzogiorno (era Sabato Santo, precedente la Pasqua)  venni fuori dal mio guscio e con sorpresa scoprii che si stava proprio bene fra il caldo abbraccio della mamma e…. che bello essere in questo mondo, tutto  nuovo e tutto da scoprire!!!

Trascorsa con felicità la primissima infanzia, ricordo  che un giorno cominciarono dei piccoli lavori di restauro nella mia casa. Si stava preparando un confortevole angolo per  Nonna, che sarebbe venuta ad abitare con noi. Infatti cosi’ fu e Nonna si ritirò in questo chiamiamolo “appartamentino” a lei riservato. Scoprii ben presto la riservatezza che faceva parte del suo carattere, infatti, se ne restava per la maggior parte del giorno appartata nelle sue stanzette. La porta della sua camera era sempre rigorosamente chiusa, cercavo di sbirciare dentro, per soddisfare la mia curiosità, ma invano!!! Non riuscivo a capire perché la mamma teneva tutte le porte della nostra casa aperte e Nonna sempre chiuse, perché tanto mistero?

Vicino alla nostra abitazione, c’era una grande chiesa, verso le sei di ogni sera suonavano le CAMPANE, e Nonna, sia con il bello o cattivo tempo, usciva dal suo “appartamento”. Era sempre vestita di scuro, con un fazzolettino a forma di triangolo in testa legato sotto il mento, un po’ curva, ma veloce nel passo, perché doveva andare immancabilmente alle funzioni religiose vespertine.

Quando ritornava a casa, era per me il momento più bello della giornata, perché rientravano dal lavoro i miei genitori e tutti insieme trascorrevamo serenamente la serata.

Un giorno finalmente e non so come, riuscii ad entrare in quella stanza per me misteriosa.  Nonna mi raccontò tante storie affascinanti: io non sapevo che in un continente lontano c’erano dei bambini dalla pelle scura, che vestiti poveramente, vivevano con grosse difficoltà, non avevano ogni giorno il cibo assicurato e anche l’acqua spesso mancava, il caldo era a volte insopportabile. La chiesa e le scuole erano molto lontane e questi piccolini dovevano fare molti chilometri a piedi per ricevere un po’ d’istruzione. Se si ammalavano non c’erano ospedali ne’ tantomeno ambulatori,  i medici e gli infermieri erano introvabili.  Nonna mi fece vedere delle fotografie e io mi chiesi come mai questi bambini avevano sempre l’espressione sorridente. Spesso, sempre osservando le foto, si vedevano questi bimbi correre e giocare spensieratamente, ma guardando bene, mi accorsi che sopra un piccolo tavolc’erano giornali che parlavano di guerre, carestie e altre brutte cose.  Nonna non si soffermò su questo, apri’ un cassetto e mi fece vedere alcuni oggetti che erano arrivati per posta da quei luoghi lontani: erano collanine colorate, grandi foglie dipinte a mano dai colori caldi, molto molto belle, e, notai anche che sopra ad una mensola c’erano degli elefantini di legno e qualche piccola statuina. Vedi, disse Nonna: i moretti si ricordano di me e mi inviano dei piccoli regalini, ma io faccio cosi’ poco per loro, mando solo qualche soldo, quando ritiro la mia pensione. Vedi è molto bello e gratificante donare agli altri, per dare loro la possibilità di un futuro più giusto.

Questi erano gli insegnamenti di Nonna.  Io, (avrò avuto allora  circa sei o sette anni) ricordo che spesso chiedevo: “Nonna, ti prego, raccontami  una storia dei moretti!!!!!! E cosi’ questi bambini dalla pelle scura e il sorriso candido, entrarono a far parte della mia immaginazione e della mia fantasia, sognavo grandi spazi con capanne fatte di paglia e tantissimi fanciulli che, ripeto, per me erano i “moretti” rincorrersi sorridendo.

Sono passati tanti anni da allora e mi ritrovo mentre sto accuratamente preparando un discorso importante che dovrò fare in un luogo ancora più importante. Ci saranno in prima fila i miei genitori con i miei fratelli, i miei parenti, gli amici, e tanta tanta gente che mi conosce fin da quando ero bambino, certamente la nonnina curva, vestita di scuro dal passo veloce, non ci sarà più, ci aveva lasciati da non so quanti anni, ma dovevo nel mio discorso, far capire a tutti che se ero li, se avevo fatto delle scelte di vita, era anche merito degli insegnamenti di Nonna.

…Ma, ecco, sento il suono delle CAMPANE, è ora di andare, anche se l’emozione mi fa tremare le gambe, e il mio cuore batte forte……sono pronto……e…si, si, devo andare!! Oggi, a distanza di tempo, vi assicuro, che tutto andò per il meglio, il discorso fece addirittura sorridere, ricevetti anche degli applausi in una giornata indimenticabile, dove tutti erano li per me e volevano festeggiarmi, abbracciarmi, io scoppiavo di gioia. Aaahhh!!!!….dimenticavo di dirvi: quello non era un discorso, nel vero senso della parola, era l’omelia, che io avevo accuratamente preparato e raccontato durante la celebrazione della mia prima Santa Messa, nella mia parrocchia, davanti ai miei famigliari,e ai tantissimi miei cari amici e, voglio dirvi ancora, che oggi sono un Sacerdote Padre Missionario in Africa e le CAMPANE per chiamare i moretti, ora le suono io!

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Padova, 22 maggio 2012