La maggior parte dei soci Agorà ha più di 70 anni. Tutti abbiamo fatto il corso Terza Età Protagonista e tutti, o quasi, abbiamo la voglia di ‘fare’, di impegnarci in qualcosa di utile, di stimolante o che possa soddisfare i nostri interessi. certamente qualcuno per motivi ‘tecnici’ con il passare del tempo, ha visto ridotta la propria dinamicità fisica però è sempre dinamico . . . di testa.
A tal proposito mi è parso interessante il seguente articolo comparso sul Corriere della Sera del 28 Ottobre.
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- Corriere della Sera
- 28 Oct 2017
- di Carolina Saporiti
Non chiedere più «quanti anni hai?» non è solo una questione di educazione. L’età anagrafica non ha mai avuto così poca importanza nella definizione di una persona come in questa epoca. Dopo la fluidità di generi, ecco quella generazionale. Giovani che hanno paura della morte e nonni che pensano non sia mai troppo tardi per innamorarsi.
La società fluida in cui viviamo si riflette nella nostra vita e nei nostri comportamenti e gli stereotipi a cui ci hanno abituati — vecchio noioso/giovane sbandato — non sono più validi. Più in generale, l’età ha perso il suo potere di predizione dei comportamenti umani ed è diventato un identificatore meno efficace.
Da una ricerca condotta sul tema da McCann Worldgroup (The Truth About Age, campione 24 mila persone in 30 Paesi) è emerso, per esempio, che una coppia di nonni australiani non ha tempo da dedicare al proprio nipote, impegnata com’è con hobby e attività; in Cina un genitore con più di 65 anni non ha voluto che i figli risparmiassero per il suo funerale e ha chiesto il corrispettivo di quei soldi per viaggiare; nelle Filippine una coppia pensionata ha deciso di aprire un nuovo business, lavorando da casa. Sono esempi che mostrano un nuovo lato della vecchiaia e della pensione. Non più momenti di ritiro e quiete, ma traguardi che una volta raggiunti permettono di godere della vita, potendo contare su maggior tempo per se stessi, libertà e disponibilità economiche.
Il mestiere di Battisti, «vivere la vita», non riguarda insomma solo i giovani, come invece il tema dell’invecchiamento non è più un problema esclusivo degli anziani. Anzi, dalla ricerca McCann risulta — ed è un dato piuttosto inaspettato — che le persone che hanno più paura di morire sole hanno 20 anni (lo teme il 57%), i trentenni, in parte Millennials, pensano molto al passare del tempo, mentre a sorpresa i settantenni sono quelli che ci pensano meno di tutti. Per esempio due terzi delle persone di circa 70 anni crede che non si sia mai troppo vecchi per un appuntamento romantico. È curioso, poi, che su una scala da 1 a 10 (dove 1 è il minimo) le persone di vent’anni si ritengono vecchie a livello 4, mentre dai trenta a settant’anni si ritengono tutte vecchie a livello 5. In Italia, Paese generalmente ottimista, la percezione di vecchiaia è ancora più bassa, infatti le persone indicano il livello 4. «Immaginando la vita come una montagna — spiega Giovanni Lazzarotti, Head of Strategic Planning di McCann Worldgroup — è abbastanza chiaro quello che succede. Salendo la prospettiva cambia, diventa più ampia e le certezze acquisite negli anni garantiscono serenità. È abbastanza fisiologico».
Al contrario la generazione dei trentenni è quella più preoccupata: «Questa è la parte più drammatica che emerge e dipende probabilmente dalla mancanza di prospettive sicure. L’incertezza dei tempi riguarda tutti, ma produce effetti diversi e per qualcuno può diventare un’ossessione. Quello che abbiamo rilevato, anche dalla ricerca dello scorso anno Truth About Youth, è che l’ingresso stesso nell’età adulta è diventato più fluido. I trentenni ci entrano ed escono di continuo: se c’è qualcosa che li interessa sono adulti, altrimenti fanno un passo indietro e tornano a essere giovani». Un tempo la vita era segnata da tappe (age milestones), oggi queste sono meno importanti e meno certe.
A livello globale i ventenni si preoccupano al 46% di invecchiare, i trentenni al 50%; in Italia invece sono solo il 35% tra i ventenni e il 39% tra i trentenni a temere lo scorrere del tempo. A quarant’anni le percentuali si abbassano ancora di più (42% mondo, 32% Italia) fino ad arrivare ai 70 anni, quando solo il 22% della popolazione mondiale si preoccupa dell’invecchiamento, mentre è qui che gli italiani cedono alla paura (37%) e si dedicano così allo sport con una media di 6 ore di attività fisica alla settimana, contro le 5 a livello globale.
È un momento cruciale nella storia dell’uomo, i concetti di giovane, adulto e anziano non solo sono più flessibili, ma le aspettative di vita tradizionali sono messe in discussione. «Il benessere, la tecnologia, l’innovazione e l’accesso orizzontale alle informazioni sono stati fautori di questi cambiamenti e ci hanno portato verso quella che è stata chiamata age of convergence creando punti di contatto che prima non c’erano anche tra età, stili di vita, generi e culture», spiega Giuseppe Caiazza, ceo IPG Mediabrands / McCann Worldgroup Italia. L’idea che abbiamo dei ventenni spensierati e dei Millennials narcisi, nonostante la loro perenne condizione precaria, è da rivedere. Sono fragili, pensierosi, si sentono vecchi e temono di morire soli. Sono invece i loro nonni a essersi svincolati più di tutti dal concetto di età. Questo gruppo di persone sente di essere diventato più spirituale e liberale, ribaltando un altro stereotipo: che siano le giovani generazioni quelle più idealiste.
Crescendo si scopre che invecchiare è bello e per farlo bene ogni popolo si affida a qualcosa di diverso. In Sudafrica è fondamentale la dimensione spirituale, in Giappone conta il sonno, in Canada bisogna saper gestire lo stress, in Brasile fare sport e in Italia mangiare bene, ma con il passare degli anni si scopre che c’entra anche la genetica. E allora, si diventa fatalisti, e si accetta più serenamente quello che si ha.
Traguardi Un nuovo lato della pensione: non più ritiro, ma disponibilità economiche e libertà Precarietà Al contrario la generazione dei trentenni è la più preoccupata: l’incertezza riguarda tutti, ma per qualcuno diventa un’ossessione.
Paolo