Cronaca di un memorabile viaggio-vacanza
(quinto capitolo)
A Berlino
In poco più di due ore siamo all’ingresso del campeggio ma ci sarebbe stato posto solo il giorno dopo, ci fu indicato un campeggio per roulotte e campers non molto lontano. Si trattava di una ex stazione di controllo di un’autostrada in disuso pertanto come parcheggio era ottimamente attrezzato. Ci siamo trovati in una specie di enclave nella zona est di Berlino e per arrivarci abbiamo dovuto percorrere un tratto di strada, lungo un canale e un alto muro sui due lati.
Solo dopo aver sistemato la roulotte mi resi conto che eravamo circondati da alcune guardie armate che dall’alto controllavano i nostri movimenti (forse per curiosità). Pensavo che tutto quello che avevo letto, relativamente al “muro di Berlino”, fosse un’ esagerazione della propaganda politica con qualche dose di dietrologia, ma quella notte è stata un vero incubo tanto da non poter chiudere occhio: mi sembrava di avere un mitra puntato addosso.
Velocemente ci trasferiamo al campeggio prenotato la sera prima e dopo un’abbondante colazione inizia la nostra visita alla città. Al primo impatto Berlino-ovest ci apparve bella. I quartieri avevano larghi spazi verdi e le strade consentivano un traffico piuttosto vivace; i palazzi ai lati delle strade che stavamo percorrendo, man mano che ci avvicinavamo al centro, avevano un aspetto sempre più importante. Banche, grandi magazzini, frequentatissimi bar e lussuosi negozi; tutto indicava che ci trovavamo in una normale città europea, nessun segno evidente che Berlino-ovest fosse divisa in tre zone amministrate rispettivamente da USA, Francia e Inghilterra salvo che se, nel nostro girovagare cambiavamo la zona di competenza, l’unica variante era la diversa divisa delle pattuglie militari.
Dopo aver pranzato in un buon ristorante proseguiamo nel nostro vagabondare attraverso diversi quartieri per raggiungere una grande piazza al centro della quale, a memoria delle distruzioni dovute alla guerra, vi erano i resti di una grande chiesa gotica (penso una parte dell’abside) che si specchiavano nella facciata in vetro del vicino nuovo centro commerciale. Eravamo nelle vicinanze del “muro” e della Porta di Brandenburgo eppure trovammo moltissimi giovani riuniti in allegri gruppi con chitarre e altri strumenti. Tutto questo era in sintesi la Berlino-ovest in quell’estate millenovecentoottantatre.
Ecco la famosa Porta di Brandenburgo che tante volte da ragazzo avevo vista al cinema durante la proiezione del documentario “LUCE” (l’equivalente dell’attuale telegiornale) con le sfilate della potenza militare tedesca. A parte questi ricordi la struttura era intatta e faceva parte del suddetto “muro” che si interrompeva contro due garitte ai lati della Porta chiusa da un grosso carro armato. Due soldati russi di guardia ci fecero capire che si poteva fotografare solo da una posizione precisa che precludeva ogni possibilità di riprendere quello che c’era oltre lo sbarramento.
Avevamo camminato tanto ed era tempo di tornare al campeggio. Dopo cena, ripensai a quanto avevamo visto durante il giorno, capii che la nostra visita a Berlino non era completa, chiesi in giro se era possibile entrare in Berlino-est e le persone a cui chiesi informazioni non ne sapevano molto perciò mi indirizzarono alla reception del campeggio. Era possibile: dalla reception ebbi tutte le istruzioni del caso.
Il mattino seguente parcheggiamo nei pressi del Check point Charly, unico varco tra la zona americana e la zona russa. Troviamo una piccola coda davanti ad una baracca con la bandiera americana da una parte e la bandiera russa dall’altra. In poco tempo siamo davanti al 1° sportello, chiediamo il visto d’entrata pagando i relativi diritti, quindi si passa al secondo sportello per i controlli di polizia e per ultimo la dogana dove dobbiamo cambiare 10 marchi alla pari con la moneta della DDR con l’obbligo di spendere tutto.
Incomincia cosi la nostra avventura oltre il “muro” La nostra meta è la storica Alexander Platz centro nevralgico di Berlino-est con la famosa torre della televisione. Camminiamo lungo larghi viali piuttosto deserti e con evidenti segni del passaggio della guerra; case ridotte a cumuli di macerie e facciate dall’intonaco sbrecciato dalle schegge in seguito ai bombardamenti ed alla conclusiva battaglia per la conquista di Berlino.
In principio il traffico era molto scarso e aumentava man mano che ci si avvicinava al centro, si trattava di un esiguo numero di Trabant (utilitarie a tre o quattro ruote con carrozzeria in vetro-resina), qualche berlina nera di grossa cilindrata di fabbricazione sovietica e veicoli militari. I pochi negozi semi vuoti non miglioravano certamente l’atmosfera cupa che si respirava, la gente indossava abiti piuttosto vecchi e non c’era allegria, su quei visi emaciati si leggeva molta tristezza e forse anche una certa diffidenza. Il confronto con Berlino-ovest rendeva ancora più evidente la durezza della vita oltre cortina, qui era peggio che in Polonia.
Attraversiamo diversi quartieri in mezzo ad uno squallore veramente impressionante, in molti casi al posto di una casa c’era un cumulo di macerie e i giardinetti che si intravedevano in qualche piazza erano in un completo stato di abbandono. Già nei dintorni di Alexander Platz tutto si ravviva; ci sono palazzi nuovi o ristrutturati e la gente ed il traffico sono per così dire normali. Al centro della piazza si trova la Torre della Televisione ai piedi della quale c’era una importante stazione della metropolitana e l’intero quartiere è costituito da palazzi governativi.
Avevamo in programma di visitare il Duomo di Berlino, non era molto lontano, dalla piazza si intravedeva una grande chiesa con una bella facciata rinascimentale. Trovato l’ingresso con stupore vediamo il portale divelto con alcune parti ancora agganciate ai cardini e all’interno le panche, l’altare e le cappelle laterali erano coperte di macerie come se quella bomba che aveva procurato quel grosso buco nella cupola fosse caduta il giorno prima, non era stato rimosso neanche un calcinaccio.
Avevamo camminato moltissimo, era ora di pranzo, avevamo preso un tè con pochi spiccioli, in una specie di bar sulla Unter den Linden. A quel punto mi sentii uno sprovveduto, avrei dovuto prevedere qualche difficoltà e portare almeno dei panini quando qualcuno ci indicò un ristorante. Se ben ricordo era il Ristorante dell’Opera, un grande locale in stile floreale che ricordava la Belle Epoque, abbastanza affollato, il cameriere molto formale e preciso ci fa accomodare in una zona tranquilla e un po isolata e ci porta il menu. Sarebbe stato arduo scegliere ma visto che non avremmo potuto riuscire con la valuta della DDR, la scelta cadde sulla cosa più costosa in lista. Dopo qualche tempo notai che lo chef attraversava la sala con un carrello su cui era posto un fornello acceso contornato da piatti di verdure e patate, mi domandavo chi era il fortunato mortale che avrebbe goduto di un simile servizio. Il carrello si fermò al nostro tavolo e due magnifici filetti di manzo stavano cuocendo proprio sotto il nostro naso. Ero stato in diversi ristoranti ma un piatto di carne così buono e così impeccabilmente servito non mi era ancora capitato eppure è stato il pranzo più difficile della mia vita.
Devo fare veramente uno sforzo per riuscire a raccontare le sensazioni provate in quel momento quindi inizierò a descrivere l’ambiente in cui si svolsero i fatti. Ci trovavamo in un ristorante che sicuramente prima della guerra era molto elegante, forse di lusso e molto noto che era riuscito a mantenere, almeno in apparenza, lo stile formale dei bei tempi. Ora, l’attuale tenore di vita, a prima vista, sembrava veramente al di sotto del minimo necessario, bastava vedere i vari piccoli supermercati i cui scaffali e banconi espositivi servivano solo per regolamentare le code, per poi avere la possibilità di acquistare un pezzettino di formaggio o qualche uovo, la sola cosa che era presente in quasi tutti i negozi che abbiamo visto, era qualche vasetto di marmellata proveniente dalla Polonia.
Tornando al momento in cui il chef uscì dalla cucina, come noi anche gli altri commensali lo seguirono con lo sguardo pieno di stupore ponendosi anch’essi le stesse domande. A quel punto lo chef si fermò al nostro tavolo. Grande fu il nostro imbarazzo, avevamo su di noi lo sguardo fisso dei clienti, penso una cinquantina di persone che probabilmente si domandavano chi potevamo essere, forse anche con qualche crampo allo stomaco se si tiene conto di quanto avevamo visto fino a quel momento.
Per noi era una specie di incubo, abbiamo mangiato velocemente a testa bassa per evitare quegli sguardi, eppure io ne sentivo ugualmente il peso. Paghiamo il conto (in totale circa 11 marchi, pari a più o meno 7.000 lire) e usciamo velocemente dal ristorante; mai avevo provato un così grande sollievo ed ancora oggi mi domando come può essere successo tutto questo.
Facciamo ancora una passeggiata per le vie del centro quando, abbastanza stanchi, incontriamo una stazione della metropolitana per noi fu come la manna caduta dal cielo, saremmo ritornati a ovest, comodamente seduti. Scopriamo che le linee della Metropolitana di Berlino erano perfettamente funzionanti, con la differenza che il capolinea dei vari treni era ubicato nella stazione vicina al “muro” sia a est che a ovest. Tranquillamente seduti pensiamo che ci saremmo risparmiati un bel pezzo di strada a piedi. Alla stazione capolinea scendiamo e mentre tutti gli altri si avviano verso le uscite noi ci presentiamo al posto di polizia per il controllo dei documenti per poi rientrare a Berlino-ovest. Dopo diversi tentativi per spiegare quello che avremmo dovuto fare, i poliziotti ci hanno gentilmente fatto accomodare in un salottino facendo capire che bisognava attendere.
Ci aspettavamo che fossero espletati ulteriori controlli invece, dopo circa un’ora, si presentò un alto ufficiale che conosceva la nostra lingua per spiegarci che per tornare a Berlino-ovest dovevamo uscire da dove eravamo entrati cioè dal check point Charly . Ringraziai e chiesi di indicarci la via più breve per arrivare al check point: il consiglio fu di percorrere la strada parallela al “muro”. Era il tardo pomeriggio del 17 agosto 1983 (la data è impressa sul biglietto della metropolitana) e la strada rasentava i quartieri popolari e tra questi ed il “muro” c’era uno spazio largo dai 150 ai 200 metri completamente libero; erano state demolite tutte le case. Ancora una volta veniamo in contatto con l’angosciante realtà del “muro” che con quel largo spazio richiamava alla mente recenti tragedie umane. Al Check point Charly restituiamo il visto, un rapido controllo doganale, ancora qualche passo e con la sensazione di scendere da un’astronave proveniente da un altro pianeta, ci ritroviamo improvvisamente sulla terra.
Stanchissimi ci rendiamo conto che la vacanza era finita. Era ora di tornare a casa, per questa volta avevamo visto abbastanza.
Dopo cena regolai il conto del campeggio, un’occhiata alla carta stradale per programmare il ritorno, e poi a dormire. Era opportuno partire presto il giorno dopo.
Dovevamo percorrere 1.200 Km., di cui circa 260 nella DDR, tutti in autostrada, con una tappa a Monaco: in due giorni saremmo arrivati ad Arona.